Archivi Citazione

“[…] Poiché numerosi psicologi clinici e maestri spirituali hanno sostenuto che il centro della personalità umana è costituito dal dolore e che l’ego è un insieme di automatismi basati sull’inconsapevolezza, la repressione da negazione e la disconnessione, messi in atto per difenderci da questo dolore, l’essenza del cammino spirituale e psicoterapeutico consiste allora nella capacità di trasformare il nostro atteggiamento di fronte al dolore. Attraverso la pratica della meditazione di consapevolezza, impariamo a uscire da una condizione di allarme automatica e obsoleta; lentamente diventiamo capaci di osservare, accettare la realtà e rilassarci davanti alla sofferenza. La consapevolezza  è soprattutto apertura, spazio, assenza di frontiere. Essa irradia amore e si accompagna a una maggiore libertà, mentre l’inconsapevolezza sostiene la coazione a ripetere e sviluppa ignoranza, bramosia (ira, vanità) e avversione (odio). Il fondamento della psicoterapia è dunque lo stesso degli antichi percorsi spirituali: si tratta di un percorso di purificazione interiore, attraverso il quale l’essere vero di ognuno di noi si libera, lentamente, dai numerosi bastioni di difesa costruiti in risposta alla sfiducia e alla paura degli altri e del mondo. […].”

(Franco Fabbro e Cristiano Crescentini in “La meditazione tra neuroscienze e spiritualità”, in Neurosiciente e Spiritualità, a cura di Franco Fabbro Astrolabio 2013)

“[…] Io e mia figlia Gina stavamo camminando su una meravigliosa e sottile striscia di sabbia su un’isola della Thailandia settentrionale. Essendo giovane,Gina era soggetta a crisi emotive. Quel giorno aveva un problema: un’attrazione non corrisposta per un ragazzo in America. Mentre camminavamo, lei parlava e mi spiegava che doveva telefonargli. Le chiesi se era sicura di voler sprecare tempo, in quel luogo paradisiaco, per escogitare una strategia di conquista.
Gina, rendendosi conto che non stava nemmeno guardando quella splendida acqua color turchese, rispose: «No,ma che cosa dovrei fare? Come posso liberarmi di questo sentimento? Avrei potuto liquidare il tutto come un dramma adolescenziale, quando mi venne un’idea. Domandai a Gina che cosa percepisse nel corpo, particolarmente nell’area del petto. Lei rispose che provava tensione e calore. Le dissi di fare qualche respiro e le chiesi di definire a parole quel che provava. «Provo tristezza e paura di essere respinta» rispose immediatamente. Ma, parlando, si rese conto che questo sentimento faceva emergere una tristezza più profonda e non riconosciuta.
Con tanto amore nel cuore, le dissi: «Tesoro, non ti sottovalutare. I pensieri e le emozioni non sono il tuo vero sé. Loro ti attraversano, ma non sono te»-
Gina si fermò. Sembrava Mosè davanti al roveto ardente. La sua mente si arrestò per un momento. Per lei, quella semplice verità aveva il potere di una sacra rivelazione.
Ci stendemmo sulla sabbia e guardammo in alto. Le dissi: «Sei splendida come il cielo azzurro sopra di noi. Le tue emozioni sono come nuvole che passano in cielo. Questa storia di amore non corrisposto è soltanto una nuvola che passa. Le emozioni, come le nuvole, possono essere potenti e dolorose. Talvolta sembrano così grandi da coprire il sole. Ma sono passeggere. Non farti ingannare»
Le chiesi se riusciva a trovare qualche parte del suo essere che potesse accogliere quella tristezza. Vedevo che cercava, e alla fine trovò una parte più spaziosa. Le domandai
di prestare attenzione al rapporto fra. la tristezza e questa nuova spaziosità.
Gina osservò: «Oh, il rapporto tra le due lascia emergere un’altra dimensione».
«Bene» dissi. «Lascia che si mescolino e che quest’altra
 dimensione assorba tutto»
. A poco a poco, la sua infatuazione svanì e lei si vide in modo completamente diverso.
La capacità di vedere i nostri drammi interiori senza perderci in giudizi e in reazioni è essenziale per la crescita spirituale. Quando cerchiamo di scacciare le emozioni penose, insieme con le sensazioni e gli stati d’animo che le accompagnano, in realtà le tratteniamo. Quando le chiudiamo dentro di noi, non diamo loro lo spazio di cui hanno bisogno per spiegarsi e rivelarsi, per mostrarci cosa hanno da insegnarci. […]”
(Tratto da“I cinque inviti” di Frank Ostasesky, brano letto dalla Dott.ssa Massimilina Molinari durante il laboratorio “I sette pilastri della pratica: lasciar andare” del 15 gennaio 2021).

“Un vero sorriso è quello che arriccia gli occhi, tempera il cuore e distende l’anima.”
(Fabiana Fondevila)


A volte ci troviamo a vivere immersi nel fare e nei nostri pensieri. Proviamo a fermarci ogni tanto e ad alzare gli angoli della bocca, sorridendo, lasciando che si attivi il nostro sistema nervoso autonomo parasimpatico, andando verso il rilassamento.
Serena giornata….coltivando il sorriso.
(Massimiliana Molinari)

“Wanderer, there is no path, the path is made by walking.”
(Antonio Machado)
“Viandante , non c’è il sentiero, il sentiero si fa camminando.”
(Antonio Machado)

Quante volte ci troviamo a pensare che potremo fare, essere, quando questo sarà finito, creando nella mente un’ illusione di tempo sospeso. Ma il tempo sospeso non esiste, esiste il momento presente, ed ogni momento in cui non siamo nel presente è un momento perso…così il nostro futuro si crea su spazi di assenza. Per oggi proviamo a vivere ora, con quello che c’è, fidando che in noi ci sono la forza e la saggezza per starci, lasciando andare l’attesa, creando il nostro sentiero un passo alla volta.
(Massimiliana Molinari)

“[…] Dare fiducia è rischioso. È una scommessa.Ogni volta che do fiducia mi comprometto. E posso perdere molto più che un pugno di dollari. Se mi fido di un amico posso essere tradito. Nel caso di un compagno, posso essere abbandonato. Se do fiducia al mondo, posso essere annientato. Spesso , troppo spesso, va a finire proprio così. Ma l’alternativa è ancora peggiore. Perché, se non scommetto, se non mi metto in gioco,
non succede niente: non c’è relazione , non c’è coinvolgimento, non c’è vita. Quindi ogni atto di fiducia è accompagnato, che ne siamo consci o no, da un brivido. Tutto cambia, e una situazione che ci pare favorevole può diventare pericolosa. Sotto sotto sappiamo che la vita è precaria, che ogni scelta è una scommessa. Al tempo stesso questo brivido si associa a un ottimismo filosofico: sì, la vita, pur con tutti i suoi tranelli e i suoi orrori, è buona. […].”
(Piero Ferrucci, La forza della gentilezza)
(Lettura del laboratorio esperienziale: I sette fondamenti della pratica. Secondo pilastro: la fiducia”, condotto dalla Dott.ssa Massimiliana Molinari del 27 novembre 2020)

“[…] Contemplazione – va da sé – è la parola religiosa (“stare nel tempio”) per interiorità.
[…] La conoscenza silenziosa è perciò cosa diversa, per quanto complementare, da quella che ci offre la conoscenza verbale. Perché la parola necessariamente procede per analisi, operando distinzioni, mentre il silenzio agisce per mezzo della sintesi, ovvero unificando.
La riflessiva o analitica è differente dalla via meditativa o sintetica.
La prima usa la ragione, l’altra la contemplazione. La prima vuole entrare nella realtà per comprenderla; la seconda, invece, permette che la realtà entri in noi. L’intento della contemplazione non è sapere, ma precisamente non sapere, liberarsi dalla conoscenza, liberare qualsiasi idea o credenza e camminare, spogli quanto più possibile, verso la beatitudine della povertà spirituale. La conoscenza silenziosa non proviene dalla comprensione ma dal distacco, non dall’addizione, ma dalla sottrazione; non è una costruzione, è una scoperta. Per giungere a questo – riconosciamolo – oggi quasi non ci sono pedagogie. Forse perché si è pensato che si trattasse di una via per pochi
eletti. È questa la novità del nostro tempo: la via contemplativa, un tempo riservata solo ad anime scelte, oggi si è capito che è per tutti.
La mistica non è un privilegio aristocratico, bensì una possibilità generale. […]”
(André Comte-SponviIIe)

“[…] Seduto alla turca su un cuscino, la spalla ben dritta (è una posizione comoda, ma anche il contrario di una prosternazione), le due
mani posate una sull’altra, gli occhi semichiusi… Né rifiuto né giudizio. Unità, semplicità, silenzio, accettazione… Prendere il tempo di respirare. Contentarsi, per una volta, di vivere. Abitare, per quanto si può l’eterno presente, l’eterno divenire, l’eterna impermanenza. È un
primo passo che ne permetterà altri. Essere uno con il proprio corpo, ciò che si fa, con ciò che si sente o si prova: vivere, semplicemente,
al posto di apparire. Il corpo è un maestro migliore dei guru.
«L’attenzione assolutamente pura senza mescolanza e preghiere», scrive Simone Weil. La meditazione è una “preghiera” di questo tipo,
quindi praticamente il contrario delle preghiere tradizionali, quasi tutte mescolate a speranze e timori, piene di parole. Le preghiere, nel
senso ordinario del termine, si indirizzano a qualcuno che implorano o adorano. La meditazione, al contrario, non domanda nulla, non implora e non adora, e non si rivolge a nessuno: è silenzio e contemplazione. […]
(André Comte-Sponvìlle)

“[…] ogni qualvolta c’è un contatto, con un oggetto dei sensi, c’è una sensazione. Ad esempio, l’occhio incontra un’immagine e c’è ciò che viene visto, l’orecchio incontra un suono e c’è il sentire, e così a seguire accade per ciascuna delle porte dei
sensi, inclusa la mente, la mente incontra un pensiero e c’è il pensare.
Il contatto, cioè l’incontro tra la porta dei sensi e l’oggetto, porta con sé una sensazione, piacevole, spiacevole oppure neutra. Quando percepiamo la caratteristica specifica della
sensazione presente la nostra mente inizia a produrre pensieri su
di essa, su questi pensieri, attraverso la proliferazione mentale,
ne costruiamo altri e infine, indugiando nel rimuginare facciamo
sì che partendo dallo stato della nostra mente proiettiamo la
nostra percezione sul mondo esteriore. […] .
Abbiamo visto che laddove c’è il contatto, c’è il tono della sensazione: piacevole, spiacevole o neutro. Il tono della sensazione è la condizione per il sorgere del
desiderio. Intendiamo qui il termine “desiderio” nel suo senso ampio, che include anche il desiderio come pre-condizione per il sorgere dell’avversione, come quando pensiamo:
“Questa cosa non dovrebbe essere così, dovrebbe scomparire
non dovrebbe essere successa…”. Ma anche desiderio come condizione per l’identificazione, l’attaccamento, l’aggrapparsi a qualcosa, come quando pensiamo: “Che bella questa cosa, dovrebbe non finire mai, dovrebbe anzi diventare ancora più
bella e piacevole!”. L’aggrapparsi a qualcosa è la condizione per il divenire: il divenire è l’immagine, l’opinione, l’idea chi siamo in questo momento. Ad esempio: “Oh come
sono triste, sono senza speranza…” “Sono stato davvero spettacolare!”. In questo modo ci lasciamo definire da ciò con cui ci identifichiamo: se mi identifico col corpo sarò solo
malato, o sano, giovane, oppure vecchio. Se ci identifichiamo con la tristezza ci definiremo delle persone tristi, se con l’ansia saremo persone molto ansiose, se con la disistima ci percepiremo come senza speranza.
Buddha ha quindi compreso, e chiaramente definito, che il mondo che noi dipingiamo sorge dal contatto e che con la cessazione del contatto c’è la cessazione di quel mondo.
Ha compreso che il folle insegue continuamente il contatto, mentre il saggio cerca di comprenderlo. Il mondo che cessa non è ovviamente il mondo delle condizioni, quelle ci
saranno sempre, il mondo che cessa è il mondo delle costruzioni, delle formazioni mentali […].”
(CHRISTINA FELDMAN, in Sati – Pubblicazione dell’Associazione Ameco di Roma – Gennaio-aprile 2020)

Ferma il rumore della tua mente in modo che i magnifici suoni della vita vengano uditi. A quel punto puoi iniziare a vivere la tua vita in maniera autentica e profonda.
(Thich Nhat Hanh)

E poi c’è la gioia di poter ascoltare Ekart Tolle …per chi non conosce l’inglese potete selezionare il video da youtube, cliccare su sottotitoli , generati automaticamente e poi la lingua , italiano o altre a voi affini.