Archivi tag: Corrado Pensa

Il rapporto con gli altri e la nostra pace

“[…] Gli altri intesi come persone gentili sono un veicolo di pace: un rapporto di amicizia, un rapporto di affetto sono una grandissima fonte di pace.
Però oltre all’altro gentile, c’è anche l’altro ostile. Questo va in direzione completamente diversa rispetto alla pace. Come si lavora con questa variata situazione? La prima cosa che viene in mente è la consapevolezza. Inoltre possiamo aggiungere qualcosa d’altro a cominciare di dalla ‘familiarizzazione, vale a dire cercare di familiarizzarci con gli aspetti positivi dell’altra persona. Anche se ci è piuttosto antipatica e se nutre ostilità verso di noi. Dunque, possiamo coltivare l’intenzione di cogliere, insieme alle negative, anche le qualità positive della persona. Quindi verosimilmente vediamo che quella persona, oltre a fare qualcosa di ostile, ha anche delle qualità positive che noi faremo in modo di ricordare. Fosse anche un bel tono di voce o una certa intelligenza.
C’è poi un livello più sottile che possiamo chiamare ‘familiarizzarci con il gusto di lasciare gli altri liberi di essere come sono’, piuttosto che dare la priorità -come di solito facciamo- al pensiero “Non mi piace quello che fai, come sei, eccetera”. Questo è un cambiamento delle nostre priorità piuttosto notevole e. quando ci riesce, è molto liberante.
Arriviamo ora alla cosa più difficile, cioè riuscire a trasformare l’altro ‘perturbante’ in un altro ‘pacificante’. Come si fa? Ecco, si tratta di prendere quello che ci arriva di ostile e di negativo (una parola, uno sguardo, un gesto) come inviti perentori a suscitare consapevolezza, gentilezza amorevole e accettazione. Ossia l’altro ci attacca e noi cerchiamo di trasformare l’aggressione in un invito a risvegliarci alla consapevolezza e a ricorrere alla compassione e all’equanimità piuttosto che all’avversione e alla chiusura. Questo non vuol dire che noi, se ci sembra necessario, non esprimiamo il nostro dissenso alla persona X, e non prendiamo distanze dalla persona Y. Ciò riguarda l’esterno, al nostro interno – se vogliamo lavorare in direzione della pace – deve esserci sempre uno sfondo di equanime comprensione-accettazione della realtà. […]”
(Corrado Pensa, in SATI, gennaio-aprile 2021 pagg. 10-11)

La pace e la sofferenza

“[…] Vorrei ora riflettere sulla relazione tra pace e sofferenza. Per esempio prendiamo un moto di avversione o di tristezza e guardiamo a qualcosa che succede piuttosto spesso. Ossia saltiamo dentro questo moto di tristezza o di avversione con quella che si chiama proliferazione emotivo-concettuale. C’è dunque questo stato emotivo – l’avversione o la tristezza – e noi cominciamo a proliferare cioè ad aggiungere pensieri, confronti, immagini. Questa tipica reazione della mente non lavorata che chiamiamo proliferazione emotivo-concettuale, potremmo paragonarla a una betoniera perché solidifica questo stato, lo rende più solido, gli impartisce una densità, una pesantezza.
Ossia quando ‘lavoriamo’ qualsiasi stato emotivo e qualsiasi pensiero con questa potente betoniera stiamo letteralmente fabbricando sofferenza e fatica. Inoltre, insieme all’attività dellaproliferazione c’è anche la fede cieca nella proliferazione. Quindi possiamo dire che ci sono due attività: l’attività di proliferare e l’attività – se possiamo chiamarla così – di credere ciecamente a tutto quello che la mente dice. Però se noi sostituiamo queste attività del proliferare e di avere fiducia nella proliferazione, con l’ascolto consapevole, allora la situazione è completamente diversa. Dunque, c’è tristezza: entriamo in silenzio dentro la nostra tristezza. C’è avversione: entriamo in punta di piedi dentro la nostra avversione. Questo succede se abbiamo attivato la consapevolezza invece della proliferazione con relativa fede cieca. Il training è imparare piano piano a svegliarsi e a sostituire queste attività con l’attività osservante che è una cosa completamente diversa. Allora succede che nella sofferenza – tristezza e avversione sono sofferenza – c’è pace, ossia una disposizione all’apertura e alla presenza. Nel momento in cui noi riusciamo a tenere una presenza consapevole è come se fossimo un’altra persona, non siamo più bambini spaventati. C’è qualcosa di adulto nel rivolgersi alla consapevolezza, a differenza della ‘mente non lavorata’, che si schiera sempre in un processo continuo di identificazione. […]”
(Corrado Pensa, in SATI, gennaio-aprile 2021)