“[…] Quando ci identifichiamo con le nostre idee e credenze, co la nostra storia di strutture acquisite, i nostri ricordi e condizionamenti, con l’autoimmagine che abbiamo costruito, l’innato spazio naturale si fa limitato e costretto. Il modo di entrare in relazione diventa schematico. Gradualmente assumiamo le nostre azioni passate come unica guida nel far fronte alle sfide del momento presente. Ed e’ facile constatare che questo ci condanna alla ripetitivita’. Spesso e’ una ripetitivita’ dolorosa.
La nostra autoimmagine puo’ essere positiva. Pensiamo: “Sono una persona buona, una persona compassionevole, una persona saggia, una persona divertente, una persona generosa e amorevole.”
Oppure possiamo avere un’autoimmagine chiaramente negativa. Alcuni di noi sentono di essere persone cattive o di non essere abbastanza forti, non abbastanza intelligenti, non abbastanza giovani, non abbastanza spirituali.
Che sia buona o cattiva, l’autoimmagine e’ solo questo….un’immagine. E’ una rappresentazione, una costruzione. E’ intrinsicamente fragile e priva di sostanza. Siamo continuamente costretti a difenderla, puntellarla e fabbricarla. […]”
(Frank Ostaseski, in SATI di maggio-agosto 2015)
Archivio mensile:Agosto 2015
Investigando la nostra mente
“[…] Se investighiamo la nostra mente anche solo in superficie, scopriremo prima o poi una fondamentale consapevolezza aperta che è sempre presente. Di solito non ci accorgiamo di questa fondamentale consapevolezza perché siamo abituati a rivolgere l’attenzione agli oggetti della consapevolezza, gli oggetti esterni delle percezioni sensoriali o gli oggetti della nostra esperienza soggettiva. […]
Autoimmagine
“[…] Uno dei nostri attaccamenti più profondi è l’attaccamento a essere qualcuno. Abbiamo tutti un’autoimmagine: la nostra autoimmagine è la persona che pensiamo di essere….come vogliamo essere….il modo in cui vogliamo che gli altri ci vedano. E’ cosi che di solito definiamo il nostro sé. L’identificazione con colui, o colei, che pensiamo di essere è la base dell’attaccamento. E’ il nostro senso di ‘me’ e di ‘mio’.
Creatori della nostra realtà
Da giorni rifletto su questo pensiero ed esperienza: siamo noi gli artefici della nostra realtà. E osservo come poi affiorino le giustificazioni e le deresponsabilizzazioni quando qualcosa è scomodo. È così facile e a volte sottile questo pensiero “ma questo non dipende da me”, e quando non si trova qualcuno a cui attribuire la responsabilità allora interviene il “destino” ,”era scritto che fosse così”….ma se mi assumo la responsabilità di essere l’artefice della mia esistenza , è un’assunzione totale, e una disponibilità totale ad indagare quali sono gli schemi inconsci con cui mi identifico che mi portano ai risultati che vivo. Siamo noi gli artefici della nostra realtà. Grazie Tao.
Lo scarica barile
“Nelle relazioni di coppia ci capita molto spesso di trovare una strategia di evitamento che noi definiamo: giocare a scarica barile. Accade quando ce la prendiamo con l’altro per una sua caratteristica, o per un comportamento abituale. La mente è talmente abile e attenta a proteggerci dall’incontro con i nostri complessi negativi, che sul piano razionale e cosciente siamo assolutamente convinti che il problema sia dell’altro. Al punto che anche disposti ad affrontare interminabili discussioni per dimostrarlo. […] Questo ‘gioco’ molto spesso è reciproco: infatti, può accadere che il partner faccia la stessa cosa nei nostri confronti. Sappiamo bene, per esperienza personale, come, agendo secondo queste modalità, si alimenti una lunga spirale di sofferenza, fatta di delusione, tristezza, rassegnazione, paura e rabbia. Le conseguenze nel corso del tempo possono essere molto gravi per le persone coinvolte: frustazione del bisogno fondamentale di intimità legato alla relazione sentimentale, senso di fallimento, depressione, conflitti e violenze. […]”
Durante la crisi
“Durante la crisi mi sento vile per l’angoscia e la sofferenza, più vile di quanto sarebbe sensato sentirsi, ed è forse questa viltà morale che, mentre prima non mi faceva provare nessun desiderio di guarire, ora mi fa mangiare per due, lavorare molto, e risparmiarmi nei miei contatti con gli altri malati per timore di ricadere. Insomma in questo momento io cerco di guarire come uno che, avendo voluto suicidarsi, avendo trovato l’acqua troppo fredda, cerca di riguadagnare la riva e io so che la guarigione viene, se si è coraggiosi, dal di dentro, con la rassegnazione alla sofferenza e alla morte, con l’abbandoni della propria volontà e dell’amor proprio. Ma ciò non ha importanza per me, mi piace dipingere, mi piace vedere gente e cose, e mi piace tutto ciò che costituisce la nostra vita”
(Vincent Van Gogh)
La prospettiva della consapevolezza
“[…] Nella mia mente ho osservato le scene piu’ spaventose. D’accordo ci sono, sorgono e svaniscono. Ma se entriamo in rapporto con esse in modo non reattivo, senza identificarci, il loro contenuto non ha importanza.Quando comprendiamo che dalla prospettiva della consapevolezza il contenuto e’ irrilevante c’e’ una straordinaria liberta’ […]”
(Joseph Goldstein)
Il segreto della salute fisica e mentale
“Il segreto della salute fisica e mentale non sta nel lamentarsi del passato, né del preoccuparsi del futuro, ma nel vivere il momento presente con saggezza e serietà. La vita può avere luogo solo nel momento presente. Se lo perdiamo, perdiamo la vita. L’amore nel passato è solo memoria. Quello nel futuro è fantasia. Solo qui e ora possiamo amare veramente. Quando ti prendi cura di questo momento, ti prendi cura di tutto il tempo.“
(Buddha)
La consapevolezza
“[…] La consapevolezza è uno specchio mentale. Riflette solo ciò che sta avvenendo nel momento presente, nella maniera esatta in cui sta avvenendo senza preconcetti.
[…] La consapevolezza è un’osservazione non giudicante, è la capacità della mente di osservare senza criticare. Con tale abilità vediamo le cose senza condanna o giudizio, e senza meravigliarci di nulla […] .
E’ psicologicamente impossibile osservare oggettivamente ciò che sta accadendo dentro di noi se, allo stesso tempo, non accettiamo il sorgere dei nostri vari stati mentali; il che, è particolarmente vero per gli stati mentali spiacevoli. […]. Non possiamo esaminare la nostra depressione se non la accettiamo pienamente. Lo stesso vale per l’irritazione, l’agitazione, la frustrazione e per tutti gli stati mentali sgradevoli […] . Nessun orgoglio, nessuna vergogna, non è in gioco niente di personale, ciò che è presente è presente. […].”
(Henepola Gunaratana)
La ferita primaria
[…] Due esponenti della psicosintesi statunitense, Firman J. E Gila A. (Firman J. E Gila A., La ferita primaria, Pagnini e Martinelli , Firenze, 2004), ritengono che ogni essere umano sia portatore di una ferita originaria, che definiscono “ferita primaria”, causata da una frattura nella connessione Io-Sé transpersonale e provocata dai centri unificatori non empatici, cioè da figure genitoriali che non sono state in grado di instaurare una sufficiente relazione empatica con i figli.
In precedenza anche Winnicott (1970) aveva evidenziato la necessità per il bambino, per una sua evoluzione armonica, di fare esperienza di una relazione positiva con il proprio caregiver (colui che se ne prende cura). Infatti per essere riconosciuto nella sua unicità ed individualità, elemento indispensabile per una sana crescita, egli deve poter sperimentare un autentico atteggiamento di rispecchiamento con la figura che più gli sta vicino nei primi momenti della sua vita. […] .
(V. Niccolai, Rivista di Psicosintesi Terapeutica – marzo-settembre 2010)