Autoimmagine

“[…] Uno dei nostri attaccamenti più profondi è l’attaccamento a essere qualcuno. Abbiamo tutti un’autoimmagine: la nostra autoimmagine è la persona che pensiamo di essere….come vogliamo essere….il modo in cui vogliamo che gli altri ci vedano. E’ cosi che di solito definiamo il nostro sé. L’identificazione con colui, o colei,  che pensiamo di essere è la base dell’attaccamento. E’ il nostro senso di ‘me’ e di ‘mio’.

Noi vogliamo rendere permanente questa immagine: lottiamo per essa, la difendiamo, la puntelliamo con una miriade di altri attaccamenti, quali il lavoro o gli amici, la casa, i punti di vista e le credenze, le preferenze e le antipatie. Ci rendiamo conto ben presto che molta della nostra attività cosciente mira a sostenere questo senso del sé.
Siamo convinti di non poter esistere senza questi attaccamenti.
Chi sarei io? Come potrebbero i miei amici riconoscermi?
Attraverso la nostra pratica di insight possiamo esaminare questi attaccamenti. Possiamo riconoscere la nostra identità costruita, la nostra autoimmagine. Possiamo diventare consapevoli del modo in cui operano questi schemi. Possiamo vedere con chiarezza senza ostacoli, e alla luce della consapevolezza possiamo assistere al dissolversi dello schema.
[…] Spesso, quando l’autoimmagine si dissolve, si apre uno spazio. Lo spazio può emergere improvvisamente dopo che si è allentata una tensione fisica o emotiva. Altre volte emerge come risveglio graduale, nel quale sentiamo che la nostra consapevolezza si espande al di là del nostro normale perimetro.
In entrambi i casi, è un liberarsi da vincoli che prima ci limitavano.
Possiamo provare un senso di leggerezza, l’acquietarsi di una certa angoscia o un senso di potenzialità e possibilità. […]”
(Frank Ostaseski – in “SATI” di maggio-agosto 2015)

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