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“[…] Contemplazione – va da sé – è la parola religiosa (“stare nel tempio”) per interiorità.
[…] La conoscenza silenziosa è perciò cosa diversa, per quanto complementare, da quella che ci offre la conoscenza verbale. Perché la parola necessariamente procede per analisi, operando distinzioni, mentre il silenzio agisce per mezzo della sintesi, ovvero unificando.
La riflessiva o analitica è differente dalla via meditativa o sintetica.
La prima usa la ragione, l’altra la contemplazione. La prima vuole entrare nella realtà per comprenderla; la seconda, invece, permette che la realtà entri in noi. L’intento della contemplazione non è sapere, ma precisamente non sapere, liberarsi dalla conoscenza, liberare qualsiasi idea o credenza e camminare, spogli quanto più possibile, verso la beatitudine della povertà spirituale. La conoscenza silenziosa non proviene dalla comprensione ma dal distacco, non dall’addizione, ma dalla sottrazione; non è una costruzione, è una scoperta. Per giungere a questo – riconosciamolo – oggi quasi non ci sono pedagogie. Forse perché si è pensato che si trattasse di una via per pochi
eletti. È questa la novità del nostro tempo: la via contemplativa, un tempo riservata solo ad anime scelte, oggi si è capito che è per tutti.
La mistica non è un privilegio aristocratico, bensì una possibilità generale. […]”
(André Comte-SponviIIe)

“[…] Seduto alla turca su un cuscino, la spalla ben dritta (è una posizione comoda, ma anche il contrario di una prosternazione), le due
mani posate una sull’altra, gli occhi semichiusi… Né rifiuto né giudizio. Unità, semplicità, silenzio, accettazione… Prendere il tempo di respirare. Contentarsi, per una volta, di vivere. Abitare, per quanto si può l’eterno presente, l’eterno divenire, l’eterna impermanenza. È un
primo passo che ne permetterà altri. Essere uno con il proprio corpo, ciò che si fa, con ciò che si sente o si prova: vivere, semplicemente,
al posto di apparire. Il corpo è un maestro migliore dei guru.
«L’attenzione assolutamente pura senza mescolanza e preghiere», scrive Simone Weil. La meditazione è una “preghiera” di questo tipo,
quindi praticamente il contrario delle preghiere tradizionali, quasi tutte mescolate a speranze e timori, piene di parole. Le preghiere, nel
senso ordinario del termine, si indirizzano a qualcuno che implorano o adorano. La meditazione, al contrario, non domanda nulla, non implora e non adora, e non si rivolge a nessuno: è silenzio e contemplazione. […]
(André Comte-Sponvìlle)