La reazione davanti alla sofferenza

“[…] La reazione spontanea di fronte alla sofferenza e la percezione di essa dell’individuo contemporaneo è piuttosto: bisogna fare qualcosa, bisogna trovare ed eliminare la causa della sofferenza e individuare gli autori della sventura. Se poi questi vengono
trovati, allora ci si mette contro di loro in segno di protesta e gli si dimostra la propria rabbia. Infatti, l’esperienza della sofferenza esige “solidarietà”. In relazione alla sofferenza l’uomo contemporaneo non si sente tanto chiamato alla compassione, aiutando per esempio a sopportare il dolore, quanto all’azione che si propone di impedirlo. Così non deve guardare il sofferente negli occhi. Il suo sguardo viene distolto dal sofferente e rivolto, invece, ai fatti e, soprattutto, ai colpevoli. Cioè, non si considera tanto il sofferente, quanto invece si cerca di percepire la “causa” della sofferenza, visto che il principio è: la sofferenza non va sopportata, tollerata o accettata, ma va eliminata. Il fatto che la
sofferenza ci sia “ancora”, dice il Moderno, è un accusa al mondo e una condanna alle sue relazioni, mentre solo un mondo e una società in cui nessuno soffre sono un mondo umano e una società umana.
Il programma del Moderno è quindi utopico, anzi lo si potrebbe anche definire, in parole povere, illusorio o fallace. L’essere umano che si attribuisce la competenza e il potere per liberare il mondo dalla sofferenza, dimentica di essere mortale e che la vita ha un termine. Può essere che si tratti di questo: che la disposizione all’azione copra ciò che nessuna azione può eliminare dal mondo. […]”
(Gerd B. Achenbach)

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