La pace e la sofferenza

“[…] Vorrei ora riflettere sulla relazione tra pace e sofferenza. Per esempio prendiamo un moto di avversione o di tristezza e guardiamo a qualcosa che succede piuttosto spesso. Ossia saltiamo dentro questo moto di tristezza o di avversione con quella che si chiama proliferazione emotivo-concettuale. C’è dunque questo stato emotivo – l’avversione o la tristezza – e noi cominciamo a proliferare cioè ad aggiungere pensieri, confronti, immagini. Questa tipica reazione della mente non lavorata che chiamiamo proliferazione emotivo-concettuale, potremmo paragonarla a una betoniera perché solidifica questo stato, lo rende più solido, gli impartisce una densità, una pesantezza.
Ossia quando ‘lavoriamo’ qualsiasi stato emotivo e qualsiasi pensiero con questa potente betoniera stiamo letteralmente fabbricando sofferenza e fatica. Inoltre, insieme all’attività dellaproliferazione c’è anche la fede cieca nella proliferazione. Quindi possiamo dire che ci sono due attività: l’attività di proliferare e l’attività – se possiamo chiamarla così – di credere ciecamente a tutto quello che la mente dice. Però se noi sostituiamo queste attività del proliferare e di avere fiducia nella proliferazione, con l’ascolto consapevole, allora la situazione è completamente diversa. Dunque, c’è tristezza: entriamo in silenzio dentro la nostra tristezza. C’è avversione: entriamo in punta di piedi dentro la nostra avversione. Questo succede se abbiamo attivato la consapevolezza invece della proliferazione con relativa fede cieca. Il training è imparare piano piano a svegliarsi e a sostituire queste attività con l’attività osservante che è una cosa completamente diversa. Allora succede che nella sofferenza – tristezza e avversione sono sofferenza – c’è pace, ossia una disposizione all’apertura e alla presenza. Nel momento in cui noi riusciamo a tenere una presenza consapevole è come se fossimo un’altra persona, non siamo più bambini spaventati. C’è qualcosa di adulto nel rivolgersi alla consapevolezza, a differenza della ‘mente non lavorata’, che si schiera sempre in un processo continuo di identificazione. […]”
(Corrado Pensa, in SATI, gennaio-aprile 2021)

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